Tommaso, pur giovanissimo, cominci ad avere una vasta esperienza sul campo.
“Ho iniziato a giocare a tennis a 8 anni e ne sono da sempre innamorato. Ho svolto attività agonistica a buon livello senza però lontanamente pensare di poter intraprendere una carriera da “pro”. Ho iniziato a insegnare molto presto, a 19 anni, allo Junior Club Livorno diretto e guidato dal maestro Fausto Criscuolo mentre studiavo psicologia clinica all’università di Pisa. Fu un periodo di formazione molto importante, ho potuto lavorare con bambini più piccoli, agonisti e adulti e lì ho iniziato le mie prime ricerche condotte in elettroencefalografia sul miglioramento tecnico. Oggi lavoro come maestro e preparatore mentale alla Sisport Torino, oltre a seguire privatamente atleti e pazienti nel lavoro di psicologo dello sport e coach per la società che gestisco, la 10220team. Ho arricchito poi la mia esperienza di coach quando grazie a una borsa di studio ho trascorso un lungo periodo di studio negli Stati Uniti per formarmi sulla psicofisiologia dello sport e contemporaneamente fatto stage presso alcune Accademie tennistiche (esempio quella di Bollettieri a Bradenton) per studiare metodologie di lavoro tecnico in campo e soprattutto l’approccio all’allenamento mentale, che è molto differente rispetto a quello al quale siamo abituati in Europa.”
In che senso è differente?
“Nel senso che è più applicata sul campo. In America ho trovato una psicologia più “comportamentista”, che quindi si basava molto su processi decisionali, da operare in concreto. La nostra europea era più di stampo cognitivista, basata su processi cerebrali interni. Trovo che la parte mentale nel tennis vada spostata dall’aula al campo: anche noi ci stiamo arrivando in maniera sempre più decisa . Nell’immaginario collettivo andare dallo psicologo dello sport è visto come lavoro “clinico”, sul vecchio modello della seduta di psicanalisi, col lettino e via discorrendo. Invece la modernità, ed in questo gli americani erano già avanti anni fa, ci porta a fare preparazione mentale sul campo da tennis, con racchetta e palline.”
Come ti sei approcciato al tennis PRO?
“Mi è servita tanto l’esperienza all’estero. Oltre alle esperienze nelle Accademie ho seguito vari Coach internazionali e ho potuto vedere dal vivo come si allenavano di volta in volta i professionisti e quello su cui lavoravano. Ho collaborato con due tenniste prima di Giulia, con una svolgendo un lavoro prettamente mentale su alcune insicurezze e problematiche personali e con l’altra per un problema tecnico. Poi con (e grazie a) Giulia piano piano sono cresciuto aumentando le mie competenze, attraverso l’esperienza diretta personale sul campo e di gestione di tutto il contesto. Oggi lavorare anche con Eremin e Lavagno mi permette di interfacciarmi col mondo del tennis maschile e conoscerlo meglio.”
Hai un modello di Coach che ti rappresenta?
“Essendo molto giovane cerco di apprendere più possibile da altri coach, specialmente quando siamo in giro nel circuito, poi integro con le mie idee. Uno dei concetti che ritengo sia fondamentale e alla base per avere successo è quello di staff. Un bravo coach è colui che si sa circondare di collaboratori specifici e in sinergia fra loro in riferimento ai vari obiettivi del tennista, che deve essere l’unico protagonista. Per quanto riguarda il team che lavora con Giulia, oltre a me e a Stefano Pucci che segue la preparazione atletica, lavoriamo a stretto contatto con la nutrizionista Stefania Cattaneo e per la parte preventiva con Giorgio Alternini e Daniela Cinicolo. Inoltre ci avvaliamo di consulenze di altri professionisti per la gestione di ogni aspetto della preparazione. Il Coach detta le linee guida, poi ogni elemento dello staff ci mette del suo.”
Invece a tua volta, Tommaso, tu sei parte dello staff che cura Edoardo Eremin ed Edoardo Lavagno a Torino.
“Esatto. Le competenze del Coach gli devono dare la capacità di potersi affidare alle figure giuste, delegando alcuni compiti specifici. Con i ragazzi lavoro principalmente sull’ aspetto mentale, ma è capitato che ci si confrontasse con il resto del team su aspetti tecnici, tattici o di preparazione fisica, integrando le nostre conoscenze. E’ la squadra che vince ecco. Ho la fortuna di stare vicino ad esempio a Lavagno ed Eremin e ai loro rispettivi staff, con cui si lavora gomito a gomito.”
Passiamo a Giulia Gatto Monticone, che è anche la tua compagna di vita. Me la descrivi come tennista?
”E’ una giocatrice molto intelligente, fa della sagacia tattica una delle sue armi principali. Le geometrie sono il suo forte e possiede un ottimo tempo sulla palla; i fondamentali sono buoni da entrambi i lati, ed anche il gioco a rete è buono. Non ha difetti grandi e nemmeno tuttavia la struttura fisica per avere una palla pesantissima. Gioca piatto e la sua superficie preferita non può che essere considerato il cemento outdoor, sebbene abbia fatto tanti risultati anche sulla terra. Sono fortunato a lavorare con lei, Giulia si è messa molto in gioco anche nel provare a metabolizzare la mia metodologia di lavoro che mi rendo conto possa essere a volte difficile.”
In che senso è difficile?
“Il background accademico e professionale che ho mi porta a impostare l’allenamento in modo che ci sia un lavoro prima di tutto sulla persona, e successivamente sulla prestazione. Pretendo molto in termini di feedback e consapevolezza dell’atleta rispetto a quanto sta facendo, della cura del dettaglio su ogni sfaccettatura quotidiana legata all’allenamento e del monitoraggio dello stato fisiologico del tennista. Al di là delle modifiche tecniche, ad esempio sul servizio, il tipo di cambiamento che intendevo per lei era a 360 gradi partendo dall’ interpretazione del game di servizio, la gestione delle pause e della respirazione, l’atteggiamento posturale. Non è solo un discorso di tecnica, su cui comunque lavoriamo quotidianamente, quanto semmai la gestione delle emozioni, in modo da essere sempre determinata nelle scelte: si tratta di essere aggressiva nei momenti giusti ad esempio.”
E’ vero che chiedi molta intensità nell’allenamento?
“Chiedo molto, capita spesso che imposti delle sessioni di allenamento non lunghissime, ma molto intense dal punto di vista fisico e mentale. Anche l integrazione di sessioni quotidiane di preparazione mentale non è scontato per un’atleta che non ha mai lavorato con questa frequenza, da quest’anno svolgiamo anche più volte a settimana sessioni di biofeedback e neurofeedback, strumenti coi quali lavoro molto.”
Come funzionano questi strumenti?
“In pratica attraverso dei sensori si misurano dei parametri fisiologici, che vanno dal battito cardiaco, alla respirazione alle onde cerebrali, e si cerca di abituare il giocatore a riconoscere le sensazioni e i segnali del corpo. Mi piace che il mio atleta al momento giusto si attivi di più o al contrario si rilassi, in base alla situazione del momento. E questo è possibile solo se esiste una autoconsapevolezza di sé sul piano fisico ed emotivo. Il consumo energetico in campo può fare la differenza.”
Come si misurano le onde cerebrali? ”
“Attraverso l’elettroencefalogramma. Con dei sensori applicati alla cute si misurano le onde e si possono fare delle valutazioni. Questo è un lavoro che si fa fuori dal campo, ma ha ripercussioni sulla prestazione. Oltre al lavoro di coach gestisco un gruppo di ricerca privato (la 10220team) della quale fanno parte anche due colleghi psicologi e Stefano Pucci, che opera nel campo delle neuroscienze applicate alle metodologie dell’allenamento nel tennis, e compatibilmente con i nostri mille impegni portiamo avanti lavori su queste tematiche.”
Che differenza c’è tra atleti italiani e stranieri sul piano della disponibilità dell’atleta a provare metodologie di allenamento nuove?
” Non ne farei un discorso di nazionalità, quanto di cultura dell’allenamento. Le generazioni precedenti rispetto alle giovanissime non hanno mai lavorato con questa metodologia, quindi all’inizio possono nutrire un filo di scetticismo, o comunque apparire spiazzate. Per altro un atleta si fida molto di quello che vede, se nota dei risultati tangibili è molto più disposto a lavorare e mettersi in gioco. La generazione di Giulia non è stata tanto abituata a lavorare molto sul piano mentale in termini di psicofisiologia. Il concetto che corpo e mente non sono separati si sta affermando solo adesso in alcuni ambienti.”
Sul piano tecnico-tattico avete lavorato nel dettaglio?
”Per prima cosa si è lavorato sulla complessità di palla. Per questo ci siamo affidati a Gabriele Medri anche per customizzare a dovere l’attrezzo. Un concetto fondamentale è che lei debba sviluppare i suoi punti di forza: quindi per prima cosa doveva trovare consapevolezza su quali fossero questi punti di forza. Il rovescio, pur essendo già il suo colpo migliore, è implementabile, sia sul piano delle scelte che su quella della varietà di palla. Per quel concerne il servizio abbiamo accorciato la preparazione, ma come ti dicevo è nell’interpretazione del game di servizio la chiave di volta.”
Discorso economico, una 200 del mondo quanto riesce ad andare in attivo?
“Giulia, non essendo un più giovanissima non riceve nessun aiuto dalla Federazione. Ed è del tutto accettabile, del resto una federazione investe più su giocatrici più giovani ancora da formare. Per questo motivo devo veramente fare i complimenti doppi a Giulia, su come si gestisce e come si è sempre gestita. Il tema economico è molto importante per un tennista: saper gestire le risorse diventa davvero determinante per il raggiungimento degli obiettivi.”
Quanto influisce l’economia, il denaro, nella classifica?
“Influisce parecchio. Perché uno dei momenti chiave della stagione è la programmazione dei tornei da disputare. In questo il coach deve trovare un bel mix tra tornei fattibili sul piano tecnico, organizzazione logistica, e ovviamente spese. Ti faccio un esempio concreto: Giulia per caratteristiche si adatta bene al cemento outdoor tipico dell’Asia. Eppure siamo andati laggiù solo l’anno scorso per la prima volta! Le spese si i coprono col prize money dei tornei, con gli sponsor, e con le competizioni a squadre. Per questo ci teniamo a ringraziare il USD Tennis Beinasco, dove Giulia si trova benissimo.”
Ma è un luogo comune dire che i tornei in Asia sono mediamente più semplici?
“Sì, per la mia esperienza nel femminile non è affatto così. E’ un tennis diverso, questo si. Per caratteristiche fisiche le asiatiche giocano un tennis meno potente, fatto più di ritmo e resistenza fisica: spesso giocano lungolinea, anche subito alla risposta, spostano molto le avversarie, quindi conta la rapidità, e le superfici sono quelle più care alle asiatiche stesse, cioè cemento non velocissimo in genere. Giulia si adatta bene a quel gioco, ma c’è bisogno di conoscere e abituarsi alle varie situazioni logistiche che si incontrano laggiù, dal cibo, alla lingua, agli usi e costumi. La fase di ambientamento è importante. Spesso si sottovalutano questi aspetti della vita del tennista professionista, fatta di viaggi continui, e quindi con difficoltà sempre nuove. E’ un altro aspetto cruciale questo che spesso influisce poi sul rendimento. Chi fa più esperienze poi se le ritrova.”
Mentre chiacchieriamo con Tommaso, ci sorge la curiosità: ma come si sono conosciuti Tommy e Giulia?
“Sul campo da tennis ovviamente (e sorride ndr), le facevo qualche volta da sparring…quando riusciva a star dietro alle mie velocità. Ma sono obbligato a dire che è una battuta…pena il tornare single seduta stante. ”
Ora dove vi allenate?
“Alla SISPORT a Torino, dove io faccio base anche nella mia attività di maestro e preparatore mentale. Talvolta svolgiamo le nostre sedute al circolo De Coubertin. Come sparring abbiamo tanti seconda categoria della scuola e in generale piemontesi, talvolta interagiamo con Edoardo Lavagno.”
E’ cambiato il tennis in questi ultimi anni?
“Ho una convinzione: che la fascia d’età sia fondamentale. La metà delle tenniste top 100 è di almeno 27 anni. Mentre più si va giù in classifica più le ragazze sono più giovani. Nella fascia 200-300 WTA , fascia in cui è inclusa Giulia, l’età media è più bassa, e il tennis di Giulia si avvicina chiaramente di più a quello delle sue coetanee e quindi fa più fatica con le tenniste delle nuove generazioni che hanno a volte una complessità di palla maggiore, e comunque hanno caratteristiche diverse.”
Che tipo di caratteristiche?
“Sicuro giocano di più con i piedi dentro al campo, fanno del servizio un’arma importante, anche la traiettoria della palla tendenzialmente cambia; usano traiettorie più complesse, a volte più alte, sto generalizzando per dire che in definitiva per età Giulia non è nella fascia a lei più congeniale. A livello WTA si è sempre espressa bene, anche se contiamo di incrementare il numero di tornei giocati visto che non ne ha giocati moltissimi in carriera. Ad esempio a Kuala Lumpur nel 2014 si è qualificata e ha passato un turno, a Palermo sempre nel 2014 si è qualificata perdendo un ottima partita con Roberta Vinci, a Tokyo a settembre di quest’ anno è andata bene, perdendo solo da Zarina Diyas che poi ha vinto il torneo partendo proprio dalle quali. ”
Finora sei soddisfatto di come state lavorando?
“Molto ma si può e si deve migliorare. Considera che Giulia veniva da un 2016 in cui era stata vittima di un infortunio fastidioso, un sovraccarico tendineo al polso, che l’ha tenuta fuori dal circuito per almeno 6 mesi, ed era scesa parecchio in classifica (500 WTA). Adesso è tornata in 15 mesi al numero 268 e rientrata fra le prime 10 giocatrici d’Italia e cosa più importante ha migliorato e limato alcuni aspetti del suo gioco. Il mio obiettivo con lei resta quello di portarla a esprimersi su palcoscenici di maggior prestigio e consoni alla sua qualità di tennis. Son convinto che lavorando con continuità e dedizione Giulia possa fare un importante salto di qualità.”
Da fuori la nostra impressione vedendo Giulia in campo è che fosse mentalmente piuttosto forte…
”Giulia è molto ordinata, a volte si deve attivare meglio. La mia opinione è che le emozioni sono una parte determinante nel tennis, e l’espressione di tali emozioni è molto importante. Parlo di emozioni positive ma anche negative. Deve lavorare su questo. Spesso il suo atteggiamento in campo è indecifrabile, perciò dà l’impressione di forza sul piano mentale. E questo di per sé non è un difetto. Può essere un pro o un contro: da una parte non dà punti di riferimenti alle avversarie sul suo stato d’animo, dall’altra però finisce per non essere così dominante sul piano emotivo come a volte servirebbe. Ecco va migliorata questa parte della gestione del match.”
Preparazione per il 2018 e susseguente programmazione dei tornei di Giulia, ci vuoi dire qualcosa?
“Innanzitutto dobbiamo ricaricare le batterie. Per me è giusto che ci sia qualche giorno di stop, staccando completamente dal tennis, perché la stagione è lunga e snervante. Il recupero è un concetto fondamentale da cui non si può prescindere. Una decina di giorni bisogna proprio riuscire ad evadere, pur magari restando a casa in famiglia, non per forza viaggiando, che già si gira molto. L’ideale è non abbandonare del tutto, restando in contatto diretto col preparatore fisico in modo da fare qualcosina di leggerissimo, però lasciando la racchetta a casa. Poi riprenderemo con qualche settimana di preparazione, 6 settimane, Giulia in genere non necessita di tantissima quantità di allenamento, non le occorre stare 5 ore al giorno in campo a giocare a tennis, mentre daremo risalto alla prevenzione degli infortuni, lavorando molto sulla parte atletica specifica, vista la sua maturità di trentenne. Le sedute atletiche saranno molto dettagliate, ne faremo anche più di una al giorno per lavorare sui particolari. Quindi la programmazione è ancora in divenire, di sicuro c’è che allargheremo i confini.”
Quanti tornei pensate di fare in una stagione?
“Giulia non necessita di giocare tantissime partite per trovare la condizione. Il mio punto di vista, e questo della programmazione è un nodo cruciale, è che Giulia non debba giocare troppo. Deve ponderare bene, perché ad un certo punto dell’anno avremo bisogno di fare un richiamo della preparazione, soprattutto sul piano fisico ma anche per sistemare qualcosa sul piano generale. Qualcosa da non sottovalutare è il lavoro durante i tornei: a volte i tennisti stessi non gli attribuiscono l’importanza che merita. Il torneo di per sé diventa fattore automatico di allenamento. In molti sensi. Un torneo no va programmato solo in base ai punti da acquisire, ma anche in base alle esigenze tecniche, o tattiche o mentali. Se c’è ad esempio il bisogno di lavorare su un dettaglio tecnico, che si faccia, anche durante una competizione. Ed anche a scapito del risultato se ce n’è l’esigenza. Su questo il coach deve essere bravo a far passare il messaggio, perché l’atleta tende ad essere legato al mero risultato, piuttosto che concentrarsi sui progressi.”
Tommaso, per la tua esperienza, è possibile lavorare con profitto con qualsiasi atleta o come sostengono alcuni tuoi colleghi esistono dei terreni fertili ed altri aridi?
“Dipende dalla propensione di ognuno al lavoro. Nel tennis il lavoro mentale è complesso e personale, le dinamiche del singolo atleta sono molteplici e vanno conosciute a fondo anche dal Coach. Se un giorno dovessi scrivere un libro la prima frase sarà: “chi pensa che il tennis non sia una terapia o non fa il coach o non fa lo psicoterapeuta”, perché fare coaching è una sorta di psicoterapia. Si entra così tanto in contatto con l’atleta che se ne conosce la personalità in tutte le sfaccettature. E quindi di fatto bisogna entrare il più possibile nella mente dell’atleta per rendersi conto se si può lavorare, quanto si può spingere, dove bisogna indirizzare gli sforzi principalmente e se tutto questo lavoro potrà rendere.”
Che cosa è un Coach?
“La figura del Coach è diversa dalla figura dello psicologo dello sport che a sua volta è diversa dalla figura dello psicoterapeuta. Lo psicologo dello sport lavora prevalentemente, e mi si concederà una semplificazione necessaria in questo contesto, sulla prestazione, quindi svolge una preparazione mentale al match o alla gara; lo psicoterapeuta lavora sulla persona, entra in maniera molto profonda nelle problematiche umane a 360 gradi. L’eterno dilemma del coach, e mia in particolare, visto che posso ricoprire tutti e tre i ruoli, è su quanto in profondità possa spingermi con un atleta che ha alcune problematiche, e quanto questo possa essere funzionale. Gli equilibri sono molto sottili, quindi ci vuole una certa sensibilità ed esperienza. Posto che il benessere della persona viene prima di tutto non è detto che lavorare in profondità sulle problematiche esistenziali di un atleta di alta performance sia sempre un bene, visto che i processi di crescita personale possono essere lunghi, pesanti e dirompenti a seconda del soggetto con cui si lavora. Bisogna pesare molto bene gli interventi sulla psiche di un atleta professionista, perché dei lavori profondi di ristrutturazione personale e cognitiva possono condurre ad un rallentamento del processo di crescita professionale, è per questo che secondo me bisogna essere molto vicini al campo, conoscere le dinamiche del circuito e confrontarsi con il team per prendere le decisioni più corrette. Esempio concreto: io e Giulia siamo andati a fare una tournèe di 25mila dollari in Giappone, quindi sulla carta e nell’immaginario collettivo, un livello alla portata di Giulia; ora quando si entra in campo, il peso che ti porti appresso non è solo quello fisico di una prestazione, o tecnico in base a come giocano le avversarie, ma anche molto quello esistenziale o psicologico. Pensa solo alle spese economiche fatte, all’investimento sul piano monetario che si tramuta in investimento emotivo, e si riflette sul piano delle aspettative. L’ansia di fare risultato per “rientrare” sia in termini di soldi che di punti e di conseguenza di ranking, può essere anche insostenibile se non sei preparata adeguatamente. Quindi diventa un cane che si morde la coda: se non gestisci bene questo tipo di pressioni rischi di perdere quei vantaggi tecnici o tattici che potresti avere sulla carta in tornei alla tua portata. Oppure la pressione di gestire le fasi “calde” di un torneo: lo scorso anno dopo l infortunio ho previsto di giocare dei 15mila dollari per Giulia perché da 5 anni non vinceva un torneo, troppo tempo visto che un atleta vive anche di gratificazioni e raggiungimento di obiettivi tangibili. Vincere un paio di 15.000 le ha consentito quest’ anno di vincere un 25mila a Santa Margherita di Pula anche perché maggiormente abituata a gestire settimane piene. Abituarsi ad arrivare alle fasi finali di un torneo può diventare una chiave di volta, provando emozioni che diventano più frequenti, quindi gestibili.”
La figura del modello di Coach che impersoni è in continua evoluzione?
“Si, bisogna prepararsi bene per poter essere all’altezza. La materia delle neuroscienze e in generale l’allenamento mentale ad esempio è relativamente giovane, ci sono studi e ricerche continue, è necessario aggiornarsi, essere curiosi, non fermarsi sulle proprie posizioni o conoscenze acquisite ed avere molta apertura mentale proprio per capire a fondo anche i propri atleti. Solo così si può essere funzionali. E’ necessario avere l’umiltà di capire che bisogna davvero studiare tanto e va fatto questo con entusiasmo genuino. E non è sufficiente solo una preparazione Accademica, perché conosco molti coach che di psicologia sono meno ferrati ma possiedono una sensibilità così forte, una capacità empatica di livello eccezionale, tali da renderli perfettamente efficienti con i propri atleti.”
Mi dici qualcosa su Eremin e Lavagno, che stai seguendo sul lato mental? Che progressi ti aspetti?
“Stiamo facendo un gran bel lavoro, per quel che riguarda Lavagno grandissimi meriti vanno al Coach Laurent Bondaz, che è un altro che crede nel concetto di staff e mi ha dato molta fiducia; con Eremin lavoro da un po’ meno tempo e mi interfaccio ovviamente anche con il papà Igor che è il suo coach. Innanzitutto sono due brave persone, sia Lavagno che Eremin, e questo per me è fondamentale, la componente umana è per me decisiva. Si è creata una bella empatia tra noi. La prima cosa che dissi ad Eremin fu proprio questa, si deve creare l’alchimia giusta tra noi due per lavorare con profitto. E si è creata. Con entrambi lavoriamo sulle prese decisionali. Io vorrei che loro avessero ben chiaro cosa fare su ogni palla e quindi questo implica processi decisionali a livello tattico, tecnico, mentale e fisico. Lavagno è del ’98 e negli ultimi due anni ha avuto qualche problema fisico che ne ha interrotto la crescita in molti sensi ma è un lavoratore e sono convinto che migliorerà presto moltissimo. Con Dodo Eremin stiamo lavorando fra le altre cose sulla gestione delle pause, anche perché per lui è molto importante il servizio e di conseguenza diventano fattori decisivi anche i livelli di attivazione. Spero di riuscire ad incidere positivamente sulla loro carriera, sono due ragazzo simpatici, se lo meritano davvero. ”
E’ differente lavorare con un maschio rispetto ad una ragazza?
“Molto diverso…l’ approccio è completamente differente . Cito una frase, non ricordo chi l’abbia detta ma non va lontano dal vero: “la donna per giocare bene deve stare bene, l’uomo per star bene deve giocare bene.” A parte le battute le sfumature sono molte di più, ma quando nell’ atleta c’è una forte motivazione di base ogni differenza diventa irrilevante.”
Mi fai un paio di esempi di allenamenti che fai?
“C’è una sessione prettamente mentale che si fa fuori dal campo, ad esempio per distinguere gli obiettivi, a breve, medio e lungo termine o per riconoscere le emozioni. Si lavora sulla respirazione, argomento non banale, e riguardo all’attività prettamente tecnica io son convinto che il miglioramento avvenga quando non c’è discrepanza tra quello che un atleta pensa di fare e quello che fa. Questo ci fa dire che bisogna lavorare a livello di percezione del proprio corpo in movimento. Se c’è da modificare un gesto tecnico dopo una certa età, ed è quello che stiamo facendo anche con Eremin o Giulia ad esempio, una delle strade (non l’unica ovvio) è quella di agire sulla multisensorialità, non solo ripetizioni continue, ma soprattutto coinvolgimento dei sensi, quello uditivo o quello visivo. C’è una continua ricerca, che come già detto portiamo avanti. Abbiamo presentato anche un software con un protocollo di allenamento tecnico ad un congresso europeo di Psicologia dello sport . Con SISPORT a Torino collaboriamo in tal senso, per me è un grande traguardo aver introdotto in tutto il settore agonistico la parte legata all’allenamento mentale. Questo non solo aiuta i singoli atleti ma contribuisce a far crescere la cultura legata a questi argomenti, che SISPORT ha sposato in pieno come filosofia.”
L’allenamento mentale è davvero fondamentale fin da subito, anche con atleti giovanissimi?
”Certamente, con modalità di lavoro diverso a seconda delle età, ma questa è la strada giusta per migliorare il tennis e lo sport in generale in Italia. Noi lo facciamo con tutti i 60 atleti agonisti (di tutte le età), anche se questo ha portato ad un piccolo aumento del costo. Vorrei far passare il concetto, e SISPORT, cosi come il circolo LePleiadi dove ho lavorato lo scorso anno, mi hanno concesso che l’attività agonistica di una scuola preveda la parte mentale. La FIT sta facendo un gran bel lavoro in tal senso, promuovendo l’introduzione delle figure dei preparatori mentali nelle scuole tennis, dando così la rilevanza che esse devono avere all’interno del sistema.”
C’è qualche ragazza che ti piace particolarmente tra le più giovani?
“Fra le tenniste di nuova generazione mi hanno favorevolmente colpito Olga Danilovic, Dayana Yastremska (allenata da Marco Girardini, stimato tecnico italiano) e Marta Kostyuk.”
A che punto siamo secondo te in Italia riguardo al tennis femminile?
“Quello che posso dire sulla situazione del tennis femminile in Italia è che c’è un bel gruppo, bisogna dare tempo alle nuove leve di metabolizzare l’eredità pesantissima della generazione di campionesse che tanto hanno fatto per il movimento tennistico italiano negli ultimi dieci anni. Potenzialità, entusiasmo e tecnici all’ altezza non mancano. Non me la sento di fare nomi perché tante le potrei definire amiche… quindi auguro a tutte ogni soddisfazione perché so che lo meritano (chiaramente non quando giocano contro Giulia!)”
Il futuro è di Tommaso Iozzo, e dei Coach come lui, innovativi, preparati, nuovi. I suoi sogni sono turbati da un numero: 214, il best ranking della sua compagna di vita ed allieva Giulia Gatto Monticone. Una barriera da superare. Alziamo l’asticella, ragazzi.
autore: Alessandro Zjino
data 2 gennaio 2018
fonte : http://www.spaziotennis.com/interv/tommaso-iozzo-neuroscienze-servizio-tennis/50697/amp